tutte le immagini dei quadri, delle sculture ed i testi tratti dai libri dell’artista sono © di Max Loy


..."Il raggio verde è una luce visibile per brevi secondi nelle chiare serate estive, subito dopo il tramonto del sole.

In metafora è qualcos’altro di più significante, una luce interiore che va cercata lì dove ha dimora: nel silenzio.



raccolta di immagini, testi e pensieri di Max Loy ...

e di quant'altro attinente alla sua arte

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In these paintings of mine there are two different elements: colour and shape, casualty and organization, intuition and recognition. Two different types of music combining melody and a countermelody evoking the marvel of a stereophonic listening.


ACCOMODATI, SEI IL BENVENUTO !

Introduzione alla Sua arte

Esposizione virtuale delle opere di Max Loy.

“E’ così: ogni azione e ancor più manifestamente quelle dettate dal sentimento, affondano le radici in una regione misteriosa dalla quale ogni gesto assume un significato trascendente che è caratteristico della figura dell’uomo: egli trascende se stesso, così le sue azioni sono allegorie, immanenza e trascendenza insieme.

Questo è un mistero grande, l’unico.”

data inizio blog: 8 ottobre 2009


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lunedì 31 gennaio 2011

Sinestesia: forme, colori e suoni dell’anima



Nell’arte astratta s’instaura un nesso strettissimo con la dimensione spirituale dell’osservatore.  In quest’ultimo un dipinto manifesta un effetto fisico determinato dalla percezione di un colore ed un effetto psichico dovuto alla vibrazione spirituale attraverso la quale il colore raggiunge l’anima. I colori sono energia elettromagnetica che influisce sulla psiche, come già aveva intuito più di duecento anni fa Goethe quando affermava: "I colori agiscono sull'anima suscitando sensazioni, risvegliando emozioni e pensieri che ci distendono o ci agitano, che provocano gioia, o tristezza. "



Il colore usato nel disegno diviene simbolo e assurge a significati universali, inconsci, arcaici, ed esprime le emozioni profonde. I  colori perciò non sono solo realtà fisica ma anche psichica e nel gioco di luci e ombre si pongono in relazione con l’evoluzione psicofisica dell’individuo, accompagnando e qualificando i passaggi che la psiche compie lungo la strada dell’unificazione, ci introducono nei misteri e nella complessità psichica. Il colore, rispetto alla forma, diventa linguaggio emotivo che permette d’evidenziare aspetti psichici altrimenti insondabili.


Il passaggio dall’uso di un colore ad un altro, la presenza di una luce, di una sfumatura che prima non c’era, può rappresentare come in una metafora, il passaggio, la crescita, la presa di coscienza. Lo sviluppo del colore passa dal periodo dove è sostanzialmente uno stimolo, ad un periodo in cui segue le emozioni (i colori sono tanto più accesi quanto più le emozioni sono forti).


Il colore ha da sempre avuto influenza su noi esseri umani e sin dall'inizio la nostra vita è stata regolamentata da due fattori: l'oscurità e la luce. Tutta la vita si sviluppa sulle fasi colorate, sulle sette note e sulle armoniche. Immaginiamo come alle prime luci dell'alba si formino i rossi, i gialli, gli aranci e nel tramonto  si irradino i verdi, si diffondano i rossi seguiti dall'azzurro intenso. Di notte risaltino i viola e la mattina presto si illumini del meraviglioso indaco.



L’effetto psichico perciò  è determinato dalle qualità sensibili del colore. Infatti, questo ha una sua sonorità, che si intensifica con intensificarsi della brillanza cromatica, e questa sonorità si riflette emotivamente sullo spettatore. 


L’analogia tra suono e colore, fra tratti musicali e luminosi ha caratterizzato la struttura del lavoro di compositori, uno fra altri Debussy. In effetti si può facilmente percepire una certa rispondenza fra l’universo sonoro e quello cromatico.

martedì 25 gennaio 2011

La pittura astratta: la forza emotiva del colore


Nella pittura astratta ogni colore corrisponde a un sentimento. L’artista astratto sostiene il peso del sentimento e delle emozioni. In queste forme che diventano indefinibili si riconoscono degli elementi di architettura, si riconoscono moli, porti, città, navi .... Paesaggi lontani.
S’intuiscono dentro l’astrazione i sentimenti della forma perduta. La forma è una nostalgia di quello che ha visto il pittore e, di quello che ha visto, rimangono dei segnali nei segmenti cromatici.  Le sue composizioni, le sue improvvisazioni sono testimonianza di una lingua pittorica che impone una nuova organizzazione degli elementi cromatici, essa è come “un controcanto” di una condizione sentimentale, come se la pittura dovesse scaricare sulla tela i palpiti, i movimenti fisici, la sensibilità infuocata ed il turbamento dell’artista.
In questo senso la pittura astratta non è soltanto sperimentazione, ma è pittura psicologica. In essa progressivamente avviene la trasformazione delle immagini oniriche in disegni e forme geometriche, che non sono però regolari secondo uno schema matematico, forme calcolate in maniera inoppugnabile; l’astrazione in questo caso è un’astrazione lirica, lirica e onirica,  in cui continuamente si inseguono le memorie delle spiagge lontane, dei palazzi, delle barche, dei porti, di terre magiche e mitiche abitate solo da accennate presenze. In questo senso si può intendere che  l’artista trasforma in una dimensione letteraria e sognante una ricerca che è di ordine formale. Riesce quindi a tenere insieme due diversi elementi: quello letterario, quello evocativo, quello lirico, quello onirico come un pittore antico e la trasformazione del linguaggio in cui i colori corrispondono ad emozioni.
In questa pittura da un lato si persegue un linguaggio nuovo, una sperimentazione tenace e dall’altro lato si mantiene un collegamento con le favole, i miti, la dimensione universale del mondo ancestrale. In essa si esprime l’energia dell’esistenza, l’energia del mondo, un dinamismo che anima di luce, che rende vitale la forma ed i colori, puri corpi nello spazio compositivo.
Anche in questa pittura assistiamo ad una evoluzione del linguaggio. Essa è molto consistente:  parte dall’immagine ancora naturalistica, ancora con riferimenti alla morfologia della natura,  per approdare ad una espressione tutta concettuale, ritagli di forme che hanno poco a che fare con il riferimento naturale.

domenica 23 gennaio 2011

L’arte della narrazione: la relazione come specchio.


La narrazione non e' riducibile alla somma delle frasi ne' delle parole che vi sono impiegate, ha una specifica organizzazione propria
I racconti dei quadri non sono soltanto organizzazioni di contenuti, sono sempre un modo con cui un soggetto viene iscritto nella storia in quanto punto di vista sulla storia stessa. In altri termini, ogni racconto presuppone una persona che racconta per qualcuno che ascolta, osserva. Questo significa che chi riceve questa storia, lo spettatore, viene spostato gradualmente in diversi punti di vista. Il punto di vista di un enunciatore si trova in condizione di essere dentro la storia, personaggio, o di essere fuori della storia in posizione del tutto obiettiva. Questo passaggio sistematico tra posizioni in cui il soggetto e' lui stesso che controlla la storia e posizioni in cui in qualche modo racconta la storia, sono una serie di montaggi interni ai testi, alle immagini  da cui poi lo spettatore alla fine trae delle conclusioni nella sua propria posizione.
Cio' è molto importante per capire l'effetto finale che un racconto, un dipinto fa su chi lo riceve concretamente. Egli oltre ad avere un'informazione sui suoi contenuti, in realtà riceve tutte insieme delle posizioni di osservazione in cui e' stato invitato a porsi - invitato, obbligato, per così dire, a porsi - all'interno del racconto, dell’immagine. 

domenica 16 gennaio 2011

Le onde


I pensieri sono come le onde dell’oceano. Montando e scendendo vedono solo il proprio movimento. Dicono: “sono un’onda”, ma la verità superiore, che non vedono, è: “sono l’oceano”. Non c’è separazione fra le due cose, nonostante quel che ne pensi l’onda. Quando l’onda muore, allora percepisce che la sua fonte oceanica – infinita, silenziosa e immutabile – è sempre esistita.



Lo stesso vale per la mente. Quando la mente pensa è tutta un’attività; quando smette di pensare ritorna alla sua fonte, nel silenzio. Solo allora, quando la mente tocca la consapevolezza dell’universalità dell’essere si entra nella sapienza infinita dell’interezza.


Il trucco sta nel non muoversi orizzontalmente, che è il modo in cui si muove normalmente la nostra coscienza, ma di affondare verticalmente. Questa discesa verticale significa trascendenza, “andare oltre” – tutte manifestazioni di una mente che cessa di identificarsi con le onde e comincia ad identificarsi con l’oceano.
Liberamente tratto da
 “Guarirsi da dentro” di Deepak Chopra


sabato 15 gennaio 2011

Enaru

(aprire il link in un’altra finestra)

Un varco aperto dalla forza del vento
Onde lambiscono scogli trafitti,
Inondano le pianure,
Travolgono d’uragano
Si piegano la foresta d’autunno incompiuta, deforme.
Un cielo plumbeo accoglie.

Dalle sorgenti richiami di stelle, come sospiri,
precipitano nella pienezza dell’oro.

I rossi smarriti, travolti, s’inabissano.
Bianchi battiti d’ali, di piume d’alabastro, nei cieli accennati
Lamenti di nuvole fumose, come ombre erose, trascinano acqua d’argento.
Bisbigli celesti, nascosti, solitari,
cercano un sentiero.
Testo poetico di Mariella Murgia

lunedì 10 gennaio 2011

L'arte: lo spazio comune del Divino.

«Dio è una sfera infinita, il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo» (Il Libro dei XXIV Filosofi). La definizione – che rimanda ad una consolidata tradizione che prenderebbe origine da Aristotele – vede, per analogia, Dio come una sfera, simbolo di totalità: quindi uno spazio perfetto e compiuto
L’uomo – se vuole partecipare alla spazialità sacra – deve entrare (o rientrare) in questa  dimensione di totalità. Lo spazio mistico, misterioso e trascendente.


Per i moderni psicologi-analitici è il processo di individuazione, la cui meta è lo spazio del divino: lo spazio trans-personale e infinitamente finito del Sé. In questo percorso l’uomo dovrà necessariamente sperimentare la curvatura. Solo così potrà entrare in quello spazio particolare – circoscritto ed infinito nello stesso tempo (è il linguaggio della complexio) – che coincide, in tutte le tradizioni simboliche, con lo spazio nel quale è possibile  comunicare con il mondo divino. Va da sé che la citata via della curvatura è sempre segreta e riservata in quanto non tutti sono in grado di percorrerla: per le difficoltà – se non altro psicologiche – che implica la particolare disposizione d’animo per iniziare il cammino. Il vero sapere non è un diritto acquisito e neppure è il frutto di una scelta democratica.

Il primo livello di questa progressione è sicuramente intuitivo.
Si potrebbe ipotizzare che uno dei primi luoghi in cui il rito ha svolto la sua funzione sia stata la caverna che – come  uterus mundi – rimanda alla presenza (e alla potenza) di una divinità materna a cui l’uomo soggiace. L’inconscio che viene evocato rimanda ad una situazione emotiva, passionale e sensibile che esprime la dimensione pericolosamente uroborica.


Tuttavia, nella caverna sono presenti – seppur ad uno stato latente – i presupposti per l’acquisizione (che si realizzerà  in un lento progresso) di un maggior livello di coscienza: un livello «che riflette una legge interiore ordinatrice la quale, al pari dell’istinto, è depositaria di un sapere superiore più forte addirittura della paura. Questa acquisizione coincide con il passaggio all’esterno: con l’abbandono delle cavità e con l’uscita alla luce del sole.


Sicuramente, è un passaggio in cui l’uomo raggiunge un più elevato grado di coscienza,  ancorché in uno stadio ancora incompiuto. Segna un passaggio epocale in cui all’intuitivo-primordiale del materno si unisce la spinta propulsiva verso l’alto del  cielo-sole-padre-coscienza.

Si giunge, infine, allo spazio templare vero e proprio.  Esso s’innalza dal buio materno-naturale-uroborico-intuitivo alla luminosità solare del cielo delle verità.


Il secondo livello è avere consapevolezza che lo spazio divino viene  offerto all’uomo affinché il divino possa oggettivarsi. Infatti anche il divino deve necessariamente umanizzarsi, per incontrare l’uomo. Per questo lo spazio del divino si è trasformato per consentire all’uomo il rispecchiamento di sé. E’ un rispecchiamento che dà all’uomo la possibilità di acquisire una stabilità psicologica tale da contrastare, almeno parzialmente, il dominio della forze istintuali e primordiali della Natura, e di costruire un significato per la propria esistenza non più legata al contingente.


Così l’uomo divenuto soggetto autonomo sentirà di doversi innalzare sempre più verso il cielo trovando nel divino una omologa e speculare rispondenza. L'ordine è ciò che dà senso al vivere, indirizzandolo e contestualizzandolo in qualcosa di non legato al presente. L’ordine è la prova stessa del divino.


Ma l’autonomia dell’uomo e la libertà può condurre facilmente alla sua laicità. L’uomo non si rapporta più, se non marginalmente, con il divino ma solo con gli altri uomini. Il divino è confinato sempre più in alto nei cieli dell’astrazione teologica. Da questo momento, la mancanza del divino negli spazi abitati dall’uomo genera la paura. È la paura che Dio non ci sia più: che non abiti più  le regioni dell’uomo. È l’assenza della presenza che fa sì che la paura assuma le più varie connotazioni. È la paura della contaminazione sociale che può nascere dalla mescolanza di gruppi diversi, non più amalgamati.


Né è conseguenza un panorama lugubre, desolante e inquietante: spazio dove né il divino né il bello hanno più dimora e dove l’uomo può perdere la libertà, la dignità e persino il proprio Io e regredire a condizioni pre-umane.   


liberamente tratto da

LE METAMORFOSI DELLO SPAZIO: IL DIVINO E L’UMANO
di Claudio Bonvecchio